magazzino 18

Anche quest’anno sarà possibile visitare il Magazzino 18, in Porto Vecchio, a Trieste*.
Ecco cosa ho visto lo scorso anno…

Oggetti di uso comune: pile di piatti,  tazze, bicchieri, bricchi per il latte…Giocattoli. In un angolo un vecchio carrettino da bambini, azzurro e rosso, ancora intatto. Oggetti da lavoro: martelli, pinze, macchine da cucire, una macchina da caffè “Gaggia”, alcuni manichini della bottega di un sarto. Carta da lettere “Vittoria”, intonsa, probabilmente proveniente da una cartoleria.
Armadi ben allineati, pile di cassettoni, comodini accatastati e sedie. Tante sedie. Tutto questo è il  Magazzino 18.


Il magazzino che c’è ma  non si vede perchè non è abitualmente visitabile.
Non lo si può nemmeno fotografare*.
Qui, nel silenzio assordante di questo luogo fantasma che è (ancora) il Porto Vecchio di Trieste, in uno dei tanti magazzini una volta utilizzati per lo stoccaggio di granaglie ed altri generi, sono state raccolte le masserizie, mai ritirate, che gli esuli istriani si sono portati con sé dopo aver dovuto abbandonare le terre cedute alla Jugoslavia nel 1947.
I fatti, in breve: tra il 1947, anno del Trattato di Parigi che assegnava l’Istria, Fiume e ala Dalmazia alla Jugoslavia di Tito al 1956 in cui perdiamo anche le cittadine della Zona B poco men di 300 mila persone abbandonarono terre, case, beni per disperdersi,  la maggior parte in  Italia, altri all’estero.
I profughi cercarono di portare con sé quanto più poterono di quello che gli apparteneva: su camion, carretti, moto. Sulle navi. Caricarono la loro vita. Quello che non è stato mai ritirato e che è sopravvissuto ad innumerevoli spostamenti adesso è conservato qui, al Magazzino 18 di un Porto che non trova pace. Sono stata a visitare il magazzino in occasione di due settimane di apertura  straordinaria al pubblico ad opera dell’Irci, Istituto regionale per la Cultura istriano, fiumana, dalmata, preposto alla conservazione delle masserizie.
Piove.


Il punto di incontro è all’imbocco del porto, zona franca. Dapprima non vedo nessuno. Poi noto un gruppo di persone che attendono proprio dietro alla guardiola, dove successivamente lasciamo le nostre generalità.
Mi unisco a loro.
Una navetta ci viene a prendere per condurci al magazzino.
Siamo gli ultimi del primo turno di questa fitta giornata di visite.
Siamo tanti. Molti altri, che hanno cercato di prenotare, non ci sono riusciti. Troppi. Peccato.
Passiamo tra i magazzini abbandonati abitati solo da qualche gatto fortunato. Intorno alla balaustra, arrugginita dal tempo,  del Magazzino 18  pendono i rami ancora spogli di un glicine dall’aspetto secolare.
Entriamo.
Foto di volti antichi, senza nomi, ci guardano, testimoni silenziosi di un tempo che si è fermato allora. Ci accoglie Piero Delbello, direttore dell’Irci.
L’atmosfera è carica di emozione.
Piero racconta. Racconta con trasporto perchè tra quei trecentomila c’erano anche i suoi genitori. E’ un figlio dell’esodo, Piero:  “Un  serpente con tre teste di cui la terza, più violenta e  dolorosa è il destino, i campi profughi in Italia o l’estero, il Canada, l’Australia… E’ la morte civile e sociale, la dissoluzione dell’uomo in quanto uomo sociale, privato delle proprie radici.”
Mentre parla il silenzio si fa pesante.


Proseguiamo il giro tra gli  scaffali pieni di piatti, tazze e bicchieri, tra martelli, mattarelli e tinozze di zinco. Tra i mobili che ci parlano. Ognuno di essi ha una propria carta d’identità: un’ etichetta che indica la provenienza, _ la sigla ACOMIN indica l’esodo da Pola_ la destinazione e tante volte il proprietario: Zaro Giovanni, Grisamas Giovanni, Parma Amedeo ….
Passiamo tra i libri. Inciampiamo quasi su  una cassa piena di quaderni di scuola. “Quaderno di Augusto Petronio. Pirano. 1942”  c’è scritto, con la calligrafia curata d’altri tempi, sul frontespizio. Una voce dapprima flebile, poi più decisa, di un attempato signore risuona nella stanza : “ Io Augusto lo conoscevo. E’ morto nel bombardamento di Padova”.
Quella voce dà il “la” alle voci degli altri visitatori, intorno a me.
Mi accorgo che tutti, o quasi, hanno avuto a che fare con l’esodo. Alcuni lo hanno vissuto, altri sono figli o  nipoti di esuli, di Rovigno, OreseraPirano
Una giovane donna è  venuta apposta da Milano per visitare il Magazzino. “Possibile_  mi chiedo _ che la storia abbia potuto calare su questi fatti una coltre di polvere così spessa da renderli invisibili?”
Mi assale un misto di commozione e di vergogna, per non aver saputo vedere.
Il giro prosegue attraverso le stanze straripanti di oggetti.
Gli armadi, i comodini, i cassettoni, ben allineati, lasciano lo spazio corridoi che ci conducono diritti verso una montagna di sedie.


Sedie che hanno i nomi, i cognomi e i volti di coloro che se la sono portate con sé , con fatica,  la loro sedia.
Sedie che hanno un’anima: l’anima di coloro che ci stavano seduti, su quelle sedie.
La visita sta per finire.
Le masserizie sono lì a testimoniare una vicenda umana, dolorosa, collettiva che appartiene alla storia di tutti noi.
La navetta ci attende per il ritorno.
La giovane donna di Milano sale per prima.
Il treno l’attende per il ritorno verso casa.

*Visite guidate:dal 16 al 20 febbraio 2015
Su prenotazione telefonando al 3343352284 oppure scrivendo a irci@iol.it

 

IRCI
Istituto regionale per la cultura istriano_fiumana-dalmata
Via Duca d’Aosta, 1 – 34123, Trieste
Tel. +39.040.639188 // Facebook: www.facebook.com/IRCI.IstriaFiumeDalmazia Fax +39.040.639161 //

Info:
irci@iol.it
www.irci.it

Tra le tante letture consiglio:
Stefano Zecchi ”Quando ci batteva forte il cuore” ,  Mondadori
Simone Cristicchi con Jan Bernas ” Magazzino 18″ , Mondadori 2014

*Le foto sono state “rubate” sulla rete. Si ringraziano gli ignoti autori.

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    di Luigi Maria Guicciardi, prefazione del maestro Giorgio Gaslini. Biografia del trombettista triestino di origine istriana Mario Fragiacomo. Luglio Editore Trieste (2014)

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