banafsheh rahmani | un’iraniana a trieste

Ho incontrato Banafsheh in una mattina grigia e piovosa.
Ci siamo viste al Teatro Miela dove espone _ l’occasione della mostra è stato il premio Marisa Giorgietti_ con alcune delle sue opere  sul tema dell’immigrazione e della violenza sull’uomo, fino al 22 marzo.


Abbiamo trovato subito un feeling particolare. Ci siamo date subito del tu.
Mi mostra i suoi quadri.  Quadri che esprimono una sensiblità particolare per ciò che avviene nella realtà di tutti i giorni,  spesso tragica e ambivalente.

Arrival 2012_olio su tela 120X100

L’arte per lei è tutto… Se non fossi diventata pittrice_ mi dice_ sarei sicuramente stata una musicista o una scrittrice… Una vocazione, quella per la pittura che viene da lontano, fin da quando, bambina in tempi difficili, di guerra, ha invidiato la sua compagna di banco che, mostrandole un disegno, la informava che si era iscritta ad un corso di pittura.
Più tardi, verso i quindici anni, il caso ha voluto che  il padre di una sua cara amica fosse pittore…. Una folgorazione, un maestro.
Da allora la pittura è stata la sua vita.
Ha studiato. Si è laureata al corso di Laurea di Pittura, si è specializzata in seguito in Ricerca dell’Arte. Ha insegnato pittura all’Istituto per lo Sviluppo Intellettuale dei Ragazzi e degli Adolescenti _il prestigioso kanoon_ e all’università Azad di Teheran.
Ma il lavoro era sempre precario  perché per il governo islamico lei, laica, non era idonea all’insegnamento.

besiege_ 2013_ oil on canvas_ 177×90

“Vedi _  mi dice _  se abiti in un posto con una certa puzza, ti abitui al suo odore” Cosi il velo  per le donne di iraniane è un’abitudine… un segno di tristezza, ma ti ci abitui. Così se sei laica sai che difficilmente passerai l’esame di religione che ti permetterà di ottenere un posto fisso.
Parla di quegli anni con serenità e del suo paese come un qualche cosa che  ama, nonostante tutto.
Poi nel 2004, a 32 anni, decide di partire, cogliendo l’occasione data dall’ambasciata italiana agli studenti iraniani.
E sceglie Trieste: perché è una città piccola e ordinata in confronto all’ enorme e caotica Teheran; perché a Trieste c’è il mare, la sua fantasia.
E’ venuta a Trieste per studiare storia dell’arte.
E’ arrivata con l’idea di tornare a casa.
E’ ancora qui.
Qui ha trovato la sua libertà principalmente dal punto di vista geografico _ “il mare mi da sempre un senso di infinito” _ ma anche in senso più ampio _  “libertà di esprimere ciò che voglio e ciò che sono, anche e soprattutto attraverso la pittura.”
Banafsheh ama Trieste ma nonostante ciò ne vede i difetti. Il difetto di non riuscire ad andare verso il suo enorme orizzonte, fisicamente rappresentato dalla piazza più “aperta” d’Europa, ma di rimanere chiusa in sè stessa.
In campo artistico questa chiusura  è espressa dalla mancanza di un certo coraggio degli addetti ai lavori _ in primis gli artisti stessi, incapaci di comunicare ciò che pensano e che fanno _ a spingersi verso percorsi veramente innovativi.


Nonostante ciò si continua a lavorare.
Mercoledì 20 marzo alle ore 16,  presso la sede della biblioteca Statale di largo Papa Giovanni,verrà inaugurata una collettiva in cui esporrà anche Banafsheh.
Poi per sei mesi sarà in Olanda, a sperimentare.
Mi piacciono l’ottimismo e la carica vitale di Banafsheh.

Fuori continua a piovere, ma nel cuore di Banafsheh splende il sole.

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